“Elogio dell’attesa nell’era di whatsapp”. Ecco cosa avrei scritto…

21 giugno 2023 – di Monica Tomasello

Oggi si è dato l’avvio agli esami di maturità 2023. La prima prova, come sempre, è stata il compito scritto di italiano. Sette le tracce proposte; di queste la più gettonata è stata la seconda traccia di attualità, dove si chiedeva ai maturandi di riflettere su quale valore potesse avere l’attesa nella società del “tempo reale”, partendo dal seguente testo di Marco Belpoliti: “Elogio dell’attesa nell’era di Whatsapp”.

“Non sappiamo più attendere. Tutto è diventato istantaneo in tempo reale come si è cominciato a dire da qualche anno. La parola chiave è “Simultaneo”. Scrivo una mail e attendo la risposta immediata. Se non m’arriva mi infastidisco: perché non risponde? Lo scambio epistolare in passato era il luogo del tempo differito. Le buste andavano e arrivavano in tempi lenti, Per non dire poi dei sistemi di messaggi istantanei cui ricorriamo: WhatsApp. Botta e risposta. Eppure tutto intorno a noi sembra segnato dall’attesa: la gestazione, l’adolescenza, l’età adulta. C’è un tempo per ogni cosa e non è mai un tempo immediato (…).

Chi ha oggi tempo di attendere e di sopportare la noia? Tutto e subito. È evidente che la tecnologia ha avuto un ruolo fondamentale nel ridurre i tempi di attesa, o almeno a farci credere che sia sempre possibile farlo. Certo a partire dall’inizio del XIX secolo tutto è andato sempre più di fretta. L’efficienza compulsiva è diventata uno dei tratti della psicologia degli individui. Chi vuole aspettare, o, peggio ancora, perdere tempo? (…). Eppure ci sono ancora tanti tempi morti: “Si prega di attendere” è la risposta che danno i numeri telefonici che componiamo quasi ogni giorno.

Aspettiamo nelle stazioni, negli aeroporti, agli sportelli, sia quelli reali che virtuali. Attendiamo sempre eppure non lo sappiamo più fare. Come minimo ci innervosiamo. L’attesa provoca persino rancore. Pensiamo: non si può fare più velocemente?”

 

Tema quanto mai interessante ed attuale, quindi, quello proposto, tanto da essere, non a caso, il più scelto dagli studenti e che ha spinto anche me a volerne parlare.

Ecco, quindi, cosa avrei scritto io se oggi mi fossi trovata seduta ad uno di quei banchi…

Il mio personale “Elogio dell’attesa nell’era di Whatsapp“

Un tempo scrivevamo lettere su carta, con la busta e l’indirizzo scritto sopra a mano. Impiegavamo molto tempo per scriverle, per spedirle, per riceverle e per rispondere. Ciò che scrivevamo era pensato e frutto di una attenta riflessione. Cercavamo le parole adatte, prestavamo attenzione alla punteggiatura e a scrivere con la migliore grafia possibile. Una volta spedita la lettera dovevamo poi attendere del tempo per ricevere una risposta, ed era proprio in questo tempo di attesa che trovavano spazio, a seconda del tipo di argomento trattato, se amore, amicizia, famiglia o lavoro, sentimenti come la curiosità, la speranza, l’emozione, la riflessione.

La lettera era il mezzo di comunicazione più efficace, ed anche il più intimo, prima che venisse inventato il telefono cellulare. I primi dispositivi avevano il display in bianco e nero e permettevano solo di fare e ricevere telefonate. Erano ingombranti, pesanti ma ci sembravano un miracolo della tecnologia. In poco tempo hanno sostituito le “vecchie” cabine telefoniche a noi tanto care che funzionavano a schede o a gettoni. Prima grossi e pesanti, poi i cellulari sono diventati sempre più piccoli e dalle diverse forme, successivamente invece sempre più grandi, con lo schermo a colori, più funzioni, e la possibilità di accedere ad internet, di inviare le e-mail….trasformandosi velocemente in smartphone e ci hanno aperto il mondo ai social network.

Con l’avvento degli smartphone, di internet, delle applicazioni di messaggistica istantanea e dei social network, moltissime comunicazioni che in passato potevano avvenire solo a voce o tramite lettera, si sono riversate nella scrittura di una mail, di un messaggio su Whatsapp o di uno stato su Facebook, Instagram o Twitter.

Finito il tempo delle cartoline spedite dai luoghi di vacanza e che spesso arrivavano al destinatario a rientro già avvenuto…

Per raccontare le nostre vacanze adesso creiamo in tempo reale un album di foto online con tanto di descrizioni e didascalie da pubblicare su Facebook o Instagram.

Per raccontare le ultime novità ad un amico o per comunicare a lavoro scriviamo una mail o mandiamo un messaggio, scritto o vocale, su Whatsapp. Addirittura il vocale può essere ascoltato a velocità aumentata perché chi ascolta non abbia a perdere troppo tempo… E, dato che ciò adesso è possibile, pretendiamo risposte immediate dal nostro interlocutore.


Non sappiamo più aspettare… Sia che si tratti di questioni amorose che di comunicazioni di lavoro, la risposta non deve farsi attendere.

Nelle coppie, tra familiari, tra amici, tra colleghi, la connessione costante è diventata la regola. Ovviamente ciò comporta preoccupazione o disappunto quando l’altro non risponde o non si connette per qualche ora.

L’immediatezza di tali nuovi strumenti di comunicazione rende inoltre possibile sapere anche quando l’altro ha effettuato l’ultimo accesso, se ha letto o meno il nostro messaggio. Appare dunque chiaro come una eventuale non risposta ad un messaggio vada a nutrire le debolezze di ognuno con dubbi, informazioni parziali, pensieri quasi magici su quello che l’altro prova o pensa e sulle cause degli eventi.

Un silenzio come risposta ad una qualunque frase su WhatsApp ha il potere di abbassare l’autostima, di peggiorare l’ansia, di rinforzare la sensazione di fragilità. L’attesa diventa impossibile da accettare, come il tempo dell’altro e delle cose della vita.


Fermiamoci un attimo a pensare e valutiamo se abbiamo deciso di farci fagocitare da modi di comunicare e di relazionarci di questo tipo oppure desideriamo riprendere la consapevolezza e la gestione dei nostri rapporti, utilizzando tali strumenti di importante evoluzione con il significato che dovrebbero avere.

Viviamo sempre di fretta, anche quando non serve, dimenticandoci troppo spesso di quanto l’attesa sia, invece, preziosa in molti casi della vita. Per questo occorrerebbe rivalutarla. Coltivare l’attesa, con il suo valore e spesso anche con il suo piacere, può essere, infatti, considerata una forma di resistenza alla deriva di un mondo consumato e stressato dalla fretta, da una velocità impellente che rischia di farci davvero male. Non solo colpendo il fisico, a causa dell’inevitabile accumulo di stress e ansia, ma prendendo a pugni anche la nostra anima, chiudendoci nell’Io e allontanandoci dal Noi per mancanza di tempo.

D’altronde non a caso la parola “fretta” deriva dal latino “fregare”, e questo è il suo destino e la sua funzione, fregarci per l’appunto. La parola “attesa” invece deriva dal latino “attendere”, parola composta da “ad”, nel senso di “verso”, e “tendere”, ed il suo significato primario è quello di rivolgere l’attenzione a qualcosa, dedicarsi, volgere l’animo a… Solo come terzo significato, nel dizionario di italiano, troviamo quello di aspettare.

In realtà, quindi, attendere non è stare fermo, immobile, ma è volgersi verso qualcuno o qualcosa per dedicare ad esso attenzione. E questo qualcuno può essere l’altro oppure noi stessi… Resistere alla tentazione di riempire a tutti i costi il “vuoto” che l’attesa comporta significa provare a sviluppare la capacità di osservare ed osservarsi senza aspettative e idee preconcette.

Abbiamo sempre un buon motivo per andare di fretta, per carità, ma è anche vero che ne abbiamo altrettanti, se non di più, per riscoprire l’efficacia e l’utilità della “lentezza” dell’attesa. Il tempo, infatti, non è solo presente, non è solo “ora, tutto e subito”, ma è innanzitutto profondità, migliore rapporto con se stessi e con gli altri, memoria e slancio verso il futuro, il sogno, l’immaginazione e la creatività.

 

 

 

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