Emergenza GAS – L’energia c’è, ma nel Canale di Sicilia i pozzi “Argo” e “Cassiopea” restano inutilizzati (VIDEO)
16 marzo 2022 – a cura di Monica Tomasello
Molti pozzi di estrazione del gas in Italia sono inattivi da molto tempo e la guerra in Ucraina ha riaperto il dibattito sul tema.
L’Italia dipende al 46% dalle importazioni dalla Russia, mentre soltanto il 6% è di produzione “nostrana”, nonostante soprattutto nel mare Adriatico siano presenti tante piattaforme pronte ad essere utilizzate.
Anche sotto il Canale di Sicilia ci sono due “tesori” molto produttivi, però fermi da anni: si tratta degli impianti Argo e Cassiopea, situati di fronte alla costa di Gela, che da soli potrebbero produrre 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
Nel 2000 in Italia, soltanto nel mare Adriatico, si estraevano 17 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. Oggi, invece, ne vengono prelevati soltanto 800 milioni, ovvero il 95% in meno!!!
“Le bollette e i carburanti sono schizzati alle stelle e gli interventi di riduzione delle accise, del governo nazionale, sono insufficienti. Bisogna venire subito incontro alle famiglie e ai lavoratori, già duramente colpiti dalla pandemia, che oggi rischiano di essere licenziati dalle imprese. Senza interventi strutturali, però, qualsiasi tipo di provvedimento sarà solo un pannicello caldo”, ha affermato Luisella Lionti, segretaria della Uil Sicilia e Area Vasta.
“Adesso è indifferibile sbloccare gli investimenti per il progetto Argo e Cassiopea – aggiunge – che potrà dare una risposta significativa, in termini di produzione di gas nazionale attenuando così la dipendenza dall’estero, e implementare il flusso dai gasdotti che collegano la nostra isola con la Libia e l’Algeria. Ma serve anche accelerare le procedure di autorizzazione per l’eolico e il solare avendo attenzione per l’ambiente. E’ il momento – continua Lionti – di parlare dei poli energetici di Siracusa e Milazzo favorendo, inoltre, investimenti per l’idrogeno e per lo smaltimento dei rifiuti anche in funzione di produzione di energia. La questione dell’approvvigionamento energetico del Paese non può essere lasciata, come è stato sino ad ora, a improvvisazione e campagne ideologiche che hanno finito per favorire la speculazione mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro e pesando enormemente sulle tasche dei cittadini”.
Lo stesso ministro Roberto Cingolani ha precisato che si attende molto dai giacimenti presenti nello Stretto di Sicilia. Il Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, appena approvato dallo stesso ministero, però di fatto blocca le attività anche in aree esistenti, soprattutto nel mare di Sicilia, e limita il rilascio di nuove concessioni su giacimenti attivi. Da un lato, quindi, esclude del tutto la possibilità di sfruttare l’area del “Vega 2” di fronte alla costa ragusana, lasciando aperta solo l’ipotesi di pompare qualche scorta residua dal “Vega 1” ormai esausto, e si concentra solo sui giacimenti Eni “Argo” e “Cassiopea” di fronte alla costa gelese, i quali, però, dovrebbero entrare in funzione non prima del 2024 e verrebbero assai limitati dall’istituzione di aree marine protette.
Il freno della burocrazia
Elettricità futura, l’associazione che riunisce i principali player nazionali del settore, ha recentemente dichiarato che se si approvasse entro giugno appena un quarto delle autorizzazioni richieste, in tre anni verrebbero installati 60 GW di impianti da fonti rinnovabili, tagliando così di ben 20 miliardi di Smetri cubi il fabbisogno annuo di gas del Paese. Il nodo delle autorizzazioni, ha affermato l’associazione, è rappresentato dalla burocrazia che, a fronte di un anno di tempo massimo previsto dalla legge, quando non nega l’autorizzazione la rilascia di media in sette anni.
In Sicilia va anche peggio… Il tempo medio di rilascio delle autorizzazioni qui è ancora più lungo rispetto al resto d’Italia: almeno dieci anni, tra Comitato tecnico e burocrazia degli assessorati Energia e Territorio. Perché la Sicilia, a causa dell’autonomia statutaria, fa caso a sé. Qui le interpretazioni arbitrarie, la indisponibilità ad assumersi responsabilità, l’opposizione degli ambientalisti e i ricorsi si aggiungono ad un “unicum giuridico” nazionale: solo nell’Isola si applica un regio decreto che per allacciare alla rete anche un solo metro di cavo elettrico impone il rilascio di 27 autorizzazioni. E per eliminare questa anomalia siciliana non sono bastati due decreti “Semplificazioni” e l’iter semplificato previsto dal “Pnrr”.
Il ddl presentato all’ARS dal deputato Assenza: un piano per l’energia alternativa in ogni Comune siciliano
Nel frattempo, in questo quadro di crisi che meriterebbe risposte urgenti, alla Regione Siciliana continuano a “palliarsela”… Un esempio su tutti: c’è un disegno di legge che prevederebbe un piano per l’energia alternativa in ogni Comune siciliano, presentato all’Ars dal deputato Giorgio Assenza, che fa (vergognosamente!) la spola da una commissione all’altra…
Secondo quanto previsto dal citato progetto di legge, tutti i Comuni isolani si dovrebbero dotare del Perc (Piano di energia rinnovabile comunale) innanzitutto individuando le aree ove installare impianti di produzione di energia alternativa di qualunque natura che copra in toto il fabbisogno locale, secondo la media di consumo dell’anno precedente. Ciò favorirebbe la progressiva decarbonizzazione e l’abbandono dei gas naturali, affrancandosi in tal modo “dai ricatti dei …signori dei gasdotti”, ha affermato il deputato.
Rizzolo, Sicilindutria: “Tutto viene fermato dalla burocrazia”
«Il progetto di fare della Sicilia un hub energetico del Mediterraneo è destinato a restare solo un sogno – dichiara Luigi Rizzolo, vicepresidente di Sicindustria e coordinatore del Comitato energia – nonostante sia previsto dal Pniec nazionale, dal Pears regionale e dal Piano investimenti di Terna. Ciò perché a livello di vertice politico c’è la consapevolezza del ruolo centrale e strategico della Sicilia nel sistema energetico nazionale e ci sono anche i progetti, ma poi tutto viene fermato dalla burocrazia».
La storia fornisce un esempio calzante, raccontato dallo stessi Rizzolo: «Nel 2008, in occasione della prima guerra in Ucraina, temendo conseguenze nella fornitura di gas dalla Russia, l’Italia si pose lo stesso problema di oggi di diversificare gli approvvigionamenti (ancora non c’era il Tap) e pensò ad un piano di rigassificatori, quegli impianti che ricevono via nave gas liquido congelato e lo riportano allo stato gassoso. Era stato pensato – in aggiunta all’unico impianto esistente, quello galleggiante di Livorno – , un sistema di 14 rigassificatori sparsi lungo la costa della penisola, che dovevano servire a mantenere piene le riserve in caso di emergenza. Ebbene, in 14 anni ne sono stati autorizzati soltanto due, a La Spezia e nei pressi di Venezia. Frattanto la Spagna ne ha costruiti 6 e riceve gas da 14 Paesi diversi».
In Sicilia ne erano previsti due di rigassificatori, uno a Porto Empedocle proposto dall’Enel ed un altro a Priolo, proposto da Erg e Shell. Di recente il Tar ha respinto il ricorso del Comune di Agrigento e finalmente l’Enel ha il via libera a Porto Empedocle. La situazione, con queste basi, non cambierà per il progetto del governo Draghi di aumentare la produzione nazionale di gas… Sarà più facile aumentare l’importazione dall’Algeria, dove la compagnia statale Sonatrach è legata da un contratto di fornitura recentemente rinnovato con l’Eni e che gestisce anche l’impianto ex Esso nell’area del petrolchimico di Priolo. Sonatrach dispone di riserve per 130 miliardi e potrebbe destinarne all’Italia almeno 10 in aggiunta ai 21 che arrivano a Mazara del Vallo, già aumentati dai 12 miliardi forniti nel 2020. La Libia ha ridotto la fornitura a Gela da 4,4 a 3,2 miliardi e potrebbe salire a 10 miliardi.
Diversamente, considerato che non si intendono fare nuove trivellazioni perchè il M5S (maggioranza in Parlamento) si oppone, la possibilità di aumentare l’estrazione di gas dai giacimenti esistenti è destinata a scontrarsi con la stessa burocrazia che blocca rinnovabili e rigassificatori. L’Italia conta su riserve certe sotterranee di gas per 90 miliardi di Smetri cubi di gas su 350 stimati; 34 miliardi potrebbero essere estratti dai 1.298 pozzi, dei quali solo 514 sono utilizzati e 752 sono attivi solo sulla carta. In atto dei 3,3 miliardi estratti, dal sottosuolo della Sicilia arrivano quasi 150 milioni di Smetri cubi, dalla zona di Gagliano Castelferrato, dal Ragusano e dal Trapanese.
A Gagliano i sindacati stimano che, se ci fossero le autorizzazioni, si potrebbero estrarre 100 milioni di Smetri cubi. Il grosso delle riserve, però, è sotto il mare, ed è per questo che Draghi punta molto sullo Stretto di Sicilia. Ma, come già esposto prima, il Pitesai, il Piano delle aree idonee all’estrazione approvato a dicembre dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha escluso la possibilità di sfruttare il giacimento “Vega B” davanti alle coste di Ragusa.
Raffaele Panebianco, vice segretario Movimento Siciliano d’Azione: “Svegliamoci Siciliani!”
In Sicilia, i pozzi “Cassiopea” ed “Argo” potrebbero produrre 10 Miliardi di metri cubi di Gas l’anno a 5 centesimi al metro cubo, rispetto ai 70 di quello straniero, ma il “mal governo” – dichiara Il vice segretario MSA Raffaele Panebianco- “preferisce il Gas straniero, mentre continuano i soprusi con il caro prezzi sul popolo. Abbiamo il Sole, il Gas, il Petrolio e tanto altro. Indipendenza Energetica e non solo. Svegliamoci Siciliani!”
Reportage – Il video servizio di “Fuori dal Coro” che ha lasciato tutti senza parole… Clicca sul link ⤵️