“Gli anti-complottisti. I cornuti felici del nuovo decennio.” – (di Carlo D’Angiò)

“Quando ero un giovane consulente del lavoro, circa 25 anni fa, ho trascorso molte serate a cena con i commercialisti, tutti più grandi di me di almeno 10 anni.

Li frequentavo perché avevo bisogno di accreditarmi agli occhi di chi poteva passarmi qualche azienda da seguire. Dovevo diventare uno di loro, far parte del branco, legittimarmi.

A quelle cene conviviali non potevo fare altro che starmene in silenzio ad ascoltare i racconti, gli aneddoti o le barzellette di quelli più esuberanti, e ridere con loro, se c’era da ridere, o congratularmi con loro per eventuali successi professionali, se c’era da congratularsi.

Con questa modalità di approccio alle “serate tra colleghi” ho avuto modo di ascoltare molte storie di diversa natura, alcune esaltanti, divertenti, motivanti, altre inquietanti, spaventose, deprimenti o anche semplicemente agghiaccianti.

Tra tutte quelle che ho ascoltato, ce n’è una che voglio condividere con voi per poi ragionare insieme sulle conclusioni.

È una storia di bugie e tradimento coniugale. Alquanto banale, simile a molte altre storie di tradimento e bugie che caratterizzano la vita coniugale di migliaia di persone, se non fosse per il fatto che il marito traditore, in realtà, non diceva bugie, e se vogliamo non era neanche un traditore.

Mi spiego meglio. I fatti andavano in questo modo. Lui trascorreva molti week end in ufficio. E quando la moglie gli chiedeva perché andasse in ufficio anche la domenica, lui rispondeva più o meno in questo modo: “vado in ufficio perché ho molte pratiche da sistemare, ma anche perché c’è la mia amante. Così tra una fotocopia e l’altra me la scopo, e il tempo passa più piacevolmente”.

Lui effettivamente rispondeva in questo modo a sua moglie. E sua moglie, divertita da ciò che percepiva come una sfrontata presa in giro per stuzzicarla, lo salutava dicendo “non la smetti mai di scherzare”.

Lui rideva con lei e andava via.

Ma il racconto si fa ancora più interessante, perché la tecnica della verità usata dal vecchio marpione funzionava anche meglio nelle situazioni più difficili.

Capitava, infatti, che con l’imbrunire la moglie decidesse di chiamarlo in ufficio (anche per controllare che stesse veramente in ufficio) e che lui rispondesse al telefono dalla scrivania proprio mentre stava fornicando con la sua amante segreta.

Una persona normale avrebbe avuto un attimo di panico, un momento di esitazione dovuto al timore concreto che la moglie dall’altra parte del telefono potesse capire quello che stava succedendo. Ma non lui, non il vecchio marpione che continuava incredibilmente a fare sesso anche durante la telefonata della moglie.

Non solo, ma se lei chiedeva “cosa stai facendo, caro?”, lui rispondeva candidamente “sto trombando la mia amante, fra un po’ torno a casa”.

E la moglie “che scemo che sei!”.

Ora, voi penserete che lui era un bastardo e che lei era una povera ingenua. Ma a me francamente di cosa fossero l’uno o l’altra non mi importa nulla. Sono convinto che, anche a ruoli invertiti, il mondo sia pieno di cornuti e cornute che non vogliono vedere l’evidenza.

Il punto qui è un altro. E riguarda quel tipo di verità che a certi livelli diventa così “incredibile” da annientare persino la sua efficacia e tornare drammaticamente al rango di non verità.

Che cosa succede quando una verità imperversa sotto gli occhi increduli delle persone? Ma soprattutto in che modo gli occhi delle persone diventano increduli?

Qui non possiamo fare a meno che richiamare ancora una volta “Il mito della caverna” di Platone per comprendere le dinamiche che offuscano la mente.

Prendi delle persone, le obblighi a guardare solo in una direzione, e dici loro che il mondo è tutto lì, una manciata di ombre che fluttuano sul muro. Ripeti il gesto per un tempo tecnico necessario a consolidare la credenza, e il gioco è fatto. E chiunque provi a dire il contrario viene immediatamente e anche brutalmente ghettizzato, respinto, isolato dal gruppo.

“Gli uccelli nati in una gabbia pensano che volare sia una malattia”, diceva Alejandro Jodorowsky.

Lo schema funziona in ogni contesto e in ogni epoca. E non fa sconti. Per quelli della mia generazione, per esempio, è sufficiente pensare alla nostra infanzia e alle malattie esantematiche, dette proprio malattie esantematiche dell’infanzia (Morbillo, Varicella, Rosolia etc.), per rinvenire il complesso delle assurdità sanitarie a cui vengono sottoposti i bambini di oggi e di cui è follemente intrisa la narrazione mediatica.

Noi di una certa generazione siamo stati posti di proposito a contatto con i bambini affetti da varicella, morbillo, orecchioni etc. Lo scopo medico-scientifico di questa prassi era quello di favorire un’immunità di gregge naturale. Il nostro sistema ha sviluppato anticorpi imperituri, capaci cioè di coprirci per l’intero arco della nostro vita.

Lo sapevano i medici che lo insegnavano alle mamme che lo insegnavano ai figli e così via.

Poi, a un certo punto nella storia di ogni popolo succedono cose “inspiegabili” che inducono qualcuno a cambiare le regole del gioco. Cambia la narrazione. Comincia il meccanismo della finestra di Overton. Si devono rendere accettabili cose che prima erano inaccettabili.

I vecchi muoiono. E con loro anche la memoria storica di fatti, esperienze e decisioni importanti. Quelli che rimangono sono istruiti ripetutamente dalle ombre sui muri, non più dalla verità. Non più dall’esperienza diretta. I nuovi nati nascono già nella gabbie o con le mascherine.

L’istruzione che ricevono è rigorosamente unica (non sono ammessi i contraddittori) e parziale; un lavaggio del cervello continuo che crea distonie cognitive, percezioni alterate, ma ancor di più crea una cultura popolare dell’accettazione silenziosa del pensiero unico che funge da paracarro del sistema.

In altre parole, si arriva a un punto nel quale non c’è neanche più bisogno che i sostenitori dell’assurdo si espongano per difendere le loro posizioni, perché tale difesa viene assunta ex ante gratuitamente dai cornuti e dalle cornute che non sono più in grado di riconoscere la verità, neanche se la stessa viene posta sotto i loro occhi in tutta la sua evidenza.

Chi prende le distanze dalla cultura del pensiero unico dominante, opportunamente costruita con le finte proiezioni sul muro, viene sic et simpliciter etichettato come un “complottista” che oggi, attenzione, non è più tipicamente un teorico della cospirazione, come poteva essere, per esempio, Rudolf Steiner che denunciava apertamente l’operato delle confraternite occulte, o anche quelli della Commissione Warren che indagarono sull’assassinio di Kennedy, muovendo i primi passi evidentemente proprio dal sospetto che ci fosse qualcosa di più da scoprire (un complotto, appunto) oltre l’evidenza di un gesto criminale, quello di Lee Harvey Oswald.

Oggi, il complottista è artatamente declassato al rango infimo di un analfabeta funzionale che si lascia fomentare dalle fake news che infestano la rete. Si tratta del Napalm 51 di Crozza, del povero imbecille che Umberto Eco apostrofò in modo così preciso e soddisfacente da mettere in campo un nuovo formidabile paradigma narrativo, qualcosa che semplifica il lavoro di chiunque abbia bisogno di liquidare tout court i commenti scomodi.

Peccato, però, che Eco non abbia mai detto che il web è fatto di imbecilli. Se dobbiamo invocarlo, facciamolo in modo corretto. E ricordiamoci, dunque, che secondo il filosofo e scrittore milanese internet avrebbe impoverito i poveri e arricchito i ricchi. I poveri di Eco sono gli ignoranti o gli imbecilli. I ricchi, quelli capaci di frugare tra le notizie e ricavarne una verità più vera o più simile a qualcosa di vero.

La seconda parte di quel discorso, dunque, vuole che ci siano persone in grado di discernere, comprendere, valutare e usare le informazioni che arrivano dal web.

Quante sono queste persone? E in quale parte della storia si trovano?

A quanto pare, ci sono medici, scienziati, magistrati, professori universitari, scrittori, intellettuali di grande spessore, un esercito di gente super qualificata, di ricchi culturali, per dirla con Eco, che infittisce le fila di quanti vedono la verità esattamente per come appare… ma che incredibilmente viene etichettata dal popolino dei cornuti come una banda di complottisti.

Al che ogni giorno dobbiamo assistere alla ridicola retorica di chi credendosi dal lato giusto della storia si limita a riproporre pedissequamente il pensiero unico dominante con la più imbarazzante delle motivazioni che consiste quasi sempre in qualcosa del tipo “se lo dicono le istituzioni…” o anche “non è possibile, lo avrebbero detto al telegiornale”, a dispetto di quanti invece, ritenuti complottisti, hanno competenze (medici, scienziati, magistrati etc.), esperienza (figli danneggiati da vaccino), propensione allo studio, alla ricerca, all’approfondimento, all’arricchimento culturale, alla scrittura, alla condivisione, al dibattito.

Insomma, abbiamo gente che non è in grado neanche di articolare un proprio pensiero scritto (difatti, comunica per lo più con le immagini o con i pensieri di altri), oserei dire la crème de la crème degli utili idioti che oggi formano questa nuova impareggiabile élite di sostenitori della scienza non democratica, quella che vuole vaccinare tutti. Sono gli anti-complottisti. I cornuti felici del nuovo decennio.”

(di Carlo D’Angiò – CEO presso Carlo D’Angiò Communication)

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