L’ORO NERO DI SICILIA, COSA NOSTRA O COSA LORO?
8 dicembre 2021 – A cura di Mirko Stefio (Movimento Siciliano d’Azione)
Quasi un quarto della produzione nazionale di petrolio, tra terra e mare, arriva dalla Sicilia.
Circa 340.000 barili annui pari a oltre 54 milioni di litri vengono estratti nella nostra isola, sufficienti per sopperire interamente al fabbisogno regionale.
Un dato che è destinato a crescere sia a terra che a mare se proseguiranno nel loro iter amministrativo i permessi di ricerca vigenti e le istanze di permesso di ricerca attive, a cui vanno aggiunti anche i permessi di prospezione a mare che andrebbero a coprire un’ulteriori aree.
Andando nel dettaglio, scopriamo che nel 2016 la produzione di greggio nel canale di Sicilia – 6 piattaforme e 35 pozzi, 3 concessioni (2 Eni e 1 Edison-Eni) – ha toccato quota 277.504 tonnellate (30 mila in più rispetto al 2015, 38% della produzione offshore nazionale), alle quali si aggiungono una concessione di coltivazione, un’istanza di concessione di coltivazione, 5 permessi di ricerca (2 della Northern Petroleum, 2 Eni Edison, 1 Audax Energy) e 6 istanze di permesso di ricerca (2 Eni Edison, 2 Northen Petroleum, 1 Audax Energy, 1 Nautical Petroleum-Transunion Italia) per un totale di 4.328 kmq.
La porzione a terra riguarda 679 mila tonnellate (18% del totale nazionale) e vede 5 concessioni di coltivazioni produttive per 113 pozzi.
Quattro appartengono a Eni Mediterranea (Gela, Giaurone, Ragusa, S. Anna) e una alla società Irminio che possiede l’omonima concessione in provincia di Ragusa e compartecipa alla S. Anna col cane a sei zampe.
Oltre al greggio (nel primo quadrimestre del 2017 ne sono state estratte 186 mila tonnellate), ci sono anche 12 concessioni di gas, per un totale, nel 2016, di 213 milioni di smc (standard metri cubi).
Con l’aumento delle concessioni effettuato negli ultimi mesi di legislatura dal governo Crocetta e perpetrato nella legislatura Musumeci, sono in notevole aumento le concessioni totali.
La caratteristica di questi giacimenti è che i siciliani oltre a subirne il notevole impatto ambientale, sia dal punto di vista degli sversamenti che da quello paesaggistico, non ci guadagnano niente o quasi .
La regione siciliana ha introdotto una tassazione alquanto benevola nei confronti di chi ha costruito fortune con il greggio raffinato nell’Isola.
Parliamo di un misero 10%, percentuale bassissima contro una media delle aliquote applicate negli altri Paesi del mondo che oscilla tra il 20 e l’80%.
Come se non bastasse… scatta pure l’esenzione, se la produzione annuale non supera le 50mila tonnellate per il petrolio a mare (20mila a terra) e gli 80mila metri cubi per il gas a mare (25milioni a terra).
Così, è grazie a queste quote che impianti definiti «poco produttivi» si rivelano invece convenienti, anche rispetto a maxi giacimenti, perché poi la società produttrice può rivendere il prodotto a prezzo pieno e con l’aumento dei prezzi degli idrocarburi il guadagno aumenta a dismisura.
Uno sconto che tra petrolio e gas si aggira circa a metà delle estrazioni.
Dal 2010 al 2017 le otto concessioni produttive di greggio in Sicilia hanno estratto in totale 7,9 milioni di tonnellate di greggio di cui 1,8 milioni (circa il 23%) sono risultate esenti dal pagamento delle royalties. Nel 2017 addirittura il 30,5 % della produzione siciliana (223.906 tonnellate) non è rientrata nel gettito delle royalties.
Ancora peggio per il gas, dove, dal 2010 al 2017, le 12 concessioni produttive hanno estratto in totale 2,24 miliardi di smc (metro cubo standard) di cui 1,39 miliardi (il 61,8 per cento) sono risultati esenti dal pagamento delle royalites.
In questi anni, la percentuale di esenzione non è scesa mai al di sotto del 50%.
Negli ultimi tre anni addirittura le percentuali di esenzione sono state rispettivamente tutte oltre il 70% per cento della produzione totale siciliana.
Insomma l’oro nero siciliano viene estratto quasi a gratis con nessuna ricaduta economica sulla regione.
“COSA NOSTRA”? SICURAMENTE COSA LORO!
(Fonti: qds.it; LegaAmbiente)